“Look ahead” il ciclo di mostre dedicato ad una rilettura etimologicamente politica dell’arte degli anni ’90
Il primo appuntamento è focalizzato su una figura topica per quel periodo e non solo:
Colin De Land, gallerista e protagonista culturale di New York, figura germinale dell’arte contemporanea.
Il contesto è incentrato su un importante testimonianza di storia dell’arte contemporanea, un documento audiovisivo inedito che inner room, grazie alla collaborazione con la Galleria Meyer Kainer di Vienna, propone in esclusiva per l’Italia e relativo al discorso/performance che Colin De Land ha tenuto durante il simposio “The Aesthetic Field” a Vienna, nel 1992. Il simposio è stato ideato da Christian Meyer e Ulf Wuggenig, mentre la sua organizzazione è stata curata da Renate Kainer. L’evento si tenne durante il semestre estivo del 1992 presso Universität für angewandte Kunst di Vienna, il cui rettore dell’epoca, Oswald
Oberhuber, era interessato a promuovere l’istituzionalizzazione di nuove forme innovative di discorso.
Il simposio è servito come forum per le conferenze di undici artisti incaricati di presentare la propria posizione nel campo estetico. Le presentazioni hanno seguito una specifica struttura drammatica: Peter Weibel, Jeff Koons, Peter Fend e Colin de Land il primo giorno; Jessica Stockholder, Gerwald Rockenschaub, John Miller e Raymond Pettibon il secondo; Christian Philipp Müller, Renée Green e Andrea Fraser il terzo e ultimo giorno.
inner room propone in termini atemporali per primo l’intervento di Colin De Land per semplice questione di affetto ed amicizia e perchè la sua memoria, in occasione dei 20 anni della sua dipartita fisica, sia di benedizione.
Dal contenuto scaturisce però una centralità di messaggio importante per una lettura rinnovata del contemporaneo.
A proposito di quanto si potrà vedere ed ascoltare, l’artista Andrea Farser ha scritto:
Colin (de Land) ha creato una delle migliori performance che abbia mai visto. Era molto nervoso per la lettura del testo che aveva scritto, che era una riflessione critica sul modo in cui la nostalgia e l’amnesia storica permettono alle tendenze regressive di essere legittimate e premiate dal mercato dell’arte (in qualche modo, attraverso “Art and Objecthood” di Fried). Don’t Look Back è stato proiettato dietro il leggio, mentre Rambo III, Female Trouble e Dracula di Andy Warhol venivano riprodotti su tre monitor a lato. A un certo punto, “Diamonds and Rust” è passato sull’impianto di amplificazione e ha oscurato la sua lettura, così si è seduto e ha fatto una pausa sigaretta. C’era la sua sagoma, che fumava, tagliata fuori dalla proiezione di Bob Dylan inseguito dalle groupie, con Sylvester Stallone che impugnava una mitragliatrice, Divine in una culla e Joan Baez che cantava “Now you’re telling me, you’re not nostalgic, then give me another word for it…”. Improvvisamente, dall’apparente caos, è emerso un confronto profondamente preciso e toccante tra cinismo e perdita, e un promemoria di ciò che si perde con il cinismo.